Nell’ambito del progetto Nuovi Uffizi, proseguono i lavori nell’area sottostante il salone di lettura della Biblioteca degli Uffizi, attigua a Piazza del Grano, che vedono impegnate ben tre soprintendenze (Polo Museale, Beni architettonici e Beni archeologici). Negli ultimi mesi sono emerse numerose novità sia di tipo archeologico, sia antropologico, relative a un cimitero risalente al V-VI secolo d.C. nel quale è stata individuata una sessantina di scheletri.
NOVITÀ ARCHEOLOGICHE
Nell’ambito dei lavori nel complesso monumentale degli Uffizi, sono emerse numerose testimonianze relative a varie fasi della storia di questa porzione della città, dall’età tardo romana fino all’impianto architettonico vasariano della seconda metà del XVI secolo.
Il rinvenimento, in tutti i saggi in profondità realizzati nel corso delle varie campagne, di limi e sabbie fluviali è indizio di come quest’area, a sud del circuito murario romano, fosse periodicamente occupata dal fiume che vi depositava i sedimenti.
Da quanto emerge dalle indagini fino ad oggi condotte sono state rinvenute soltanto tracce di frequentazioni sporadiche pertinenti ad attività di scarico, come testimoniato dal rinvenimento di accumuli di materiali edilizi e lapidei relativi alla fase di ampliamento urbano della fine del I – inizi II secolo d.C.
Questa frequentazione, verosimilmente legata alle fasi di “secca” dell’Arno e caratterizzata da scarichi di materiali di risulta, si interrompe nel momento in cui l’area viene utilizzata come necropoli (inizi V – metà VI secolo). L’arco temporale deve essere meglio inquadrato a seguito di approfondimenti di studio e di analisi.
La collocazione del cimitero sopra un rilievo nei pressi del fiume, in una zona comunque oggetto di inondazione nelle fasi di maggiore portata, e la posizione, talvolta scomposta, degli inumati deposti affiancati testa-piedi, sono chiari indizi di inumazioni realizzate in fretta probabilmente in concomitanza con l’insorgenza di un’epidemia.
Altri elementi che concorrono a rendere realistica l’ipotesi dell’epidemia sono la vicinanza delle fosse tra loro e l’orientamento non omogeneo degli inumati, indizi di un’attività cimiteriale concentrata in un arco temporale molto limitato e tesa al massimo sfruttamento dello spazio disponibile per le sepolture.
Appare verosimile che l’evento drammatico che ha determinato la realizzazione di questo cimitero d’emergenza sia da collocare nella stagione calda, quando il fiume in secca si ritirava nella parte sud dell’alveo rendendo praticabile il suolo formato dai suoi sedimenti, depositati durante le fasi di piena invernale in sponda destra.
Le indagini antropologiche, palinologiche e paleobotaniche intraprese col rinvenimento della necropoli potranno fare luce sulle reali cause della ‘moria’ e sugli aspetti socio ambientali di questo ampio campione di popolazione.
Nei secoli successivi l’area, persa oramai la memoria del cimitero, viene nuovamente utilizzata come zona di scarico dei materiali di risulta. La stratigrafia archeologica soprastante le sepolture risulta, infatti, essere un articolato e massiccio accumulo di materiali di riporto la cui formazione data a partire dal VII fino al XII-XIII secolo.
Tra XII e XIII secolo l’area, a seguito della necessità di nuovi spazi, viene edificata ed urbanizzata. Riferibile alla fase basso medievale, nell’ambito della zona interessata dalle sepolture, sono alcune fondazioni murarie e soprattutto pozzi di smaltimento per liquami e acque reflue pertinenti ai cortili retrostanti edifici residenziali individuati nello scavo degli scantinati degli Uffizi di Levante.
Con l’intervento vasariano il quartiere medievale viene in gran parte sventrato per far posto al nuovo corpo di fabbrica destinato ad accogliere le Magistrature Granducali.
NOVITÀ ANTROPOLOGICHE
Dagli scavi archeologici nell’area di Levante degli Uffizi è emerso un documento eccezionale: la fotografia istantanea di una catastrofe di proporzioni immani che ha colpito Firenze in età altomedievale. Una catastrofe che ha sicuramente contribuito al noto lungo periodo di decadenza della città e alla sua quasi scomparsa dalla storia, ma forse anche da sola sarebbe sufficiente a spiegarlo.
Quella che oggi è visibile è solo una piccola porzione di un’area cimiteriale vasta, costituita da numerose tombe a fossa multiple, stipate una accanto all’altra. In ognuna di esse i defunti furono deposti pressoché simultaneamente, o in un brevissimo arco temporale.
Questa tipologia di inumazione è spesso la testimonianza di avvenimenti disastrosi per la popolazione, come un massacro o un’epidemia. Le fosse comuni, che ospitavano ognuna almeno quattro–cinque cadaveri ma anche più di dieci, e scavate dovunque vi fosse spazio disponibile, esprimono la necessità di seppellire rapidamente ogni giorno un gran numero di morti.
Anche la posizione e la disposizione dei defunti all’interno delle fosse attestano inequivocabilmente una situazione di emergenza.
Si osservano infatti caratteristiche di sepoltura frettolosa, spesso senza atti di composizione del cadavere in atteggiamento rituale; sembra piuttosto che i defunti siano stati, se non proprio buttati giù, calati e sistemati di taglio, uno accanto all’altro, con il solo obiettivo di occupare meno spazio possibile. Una caratteristica peculiare di questa necropoli è l’orientamento cranio-caudale alternato dei corpi, sempre allo scopo di guadagnare spazio. I bambini venivano in genere incastrati nei ristretti spazi liberi tra gli adulti.
Esclusa l’ipotesi di un eccidio collegabile con le varie invasioni barbariche per l’assenza di traumi mortali da ferita e per l’aspetto delle giaciture (più fosse comuni a luogo di una sola fossa) ed esclusa la morte per fame in fase d’assedio o per malattie lungo decorso, rimane solo la possibilità di una moria imponente e rapida, quale si verifica nel corso di un’epidemia ad alto contagio e ad evoluzione acuta e mortale, come ad esempio la peste, il colera, la dissenteria, l’influenza.
La cronologia della necropoli, una volta precisata con i criteri archeologici e attraverso la datazione assoluta con il Radiocarbonio, potrebbe risultare compatibile con quella della Peste giustinianea. In questo caso di apre una prospettiva intrigante: identificare l’agente patogeno responsabile della Peste (Yersinia pestis) da ossa o denti.
A questo proposito, siamo già in contatto con un laboratorio di paleogenetica dell’Università di Mainz, dove un’equipe svolge una ricerca specializzata in questo campo.
Ma a parte l’epidemia e le sue cause, che pure è il tema di maggiore interesse per gli studiosi e per il pubblico, questo gruppo di una sessantina di scheletri è per noi antropologi di estrema importanza scientifica perché rappresenta un campione di dimensioni notevoli della popolazione fiorentina tra tardo antico e altomedievo. Finora avevamo a disposizione solo piccoli nuclei racimolati da altri scavi urbani di modesta ampiezza realizzati nel corso degli anni a seguito di lavori urbanistici in diverse zone della città. Invece adesso disponiamo di un campione consistente che permette di disegnare un quadro della popolazione fiorentina e delle sue condizioni di vita, di salute, di alimentazione, di attività lavorative.
Nessun Commento