Henriette Theodora Markovitch, meglio nota come Dora Maar (Parigi, 1907-1997), nell’immaginario e nel ricordo dei posteri è stata soprattutto l’amante e la musa del grande Picasso; la donna di rara bellezza e dalla personalità enigmatica che aveva sedotto il massimo pittore del secolo e, abbandonata, era sprofondata nella pazzia, vivendo isolata dal mondo per i restanti cinquant’anni. “Sacrificata al Minotauro”, “Segregata con i suoi fantasmi ammuffiti”, “Dora, lacrime dipinte”: titolarono i giornali quando i suoi beni vennero messi all’asta, dopo la morte.
Ma Dora Maar non fu solo questo, fu anche e soprattutto una straordinaria artista e la mostra promossa dalla Fondazione Musei Civici di Venezia dall’8 marzo al 14 luglio – tra gli appuntamenti di “Primavera a Palazzo Fortuny” – prima esposizione dedicata in Italia a questa grande fotografa, su progetto di Daniela Ferretti e a cura di Victoria Combalía sua sensibile studiosa, vuole appunto rivelare il singolare talento di “Dora Maar. Nonostante Picasso”. Grazie ai prestiti ottenuti da importanti musei e collezioni private, la mostra – che espone oltre un centinaio di opere, con alcuni lavori inediti dell’artista di grande interesse – ripercorre la carriera e la personalità di Dora: una donna certamente complessa e tormentata come appare nei dipinti di Picasso, ma anche acuta, intelligente e politicamente impegnata. Una personalità poliedrica e dalle molte vite. Una grande fotografa.
E infatti dopo aver vissuto con la famiglia tra Parigi e Buenos Aires – il padre famoso architetto croato e la madre francese – e dopo aver frequentato l’École et Ateliers d’Arts Décoratif e l’Accademia di André Lhot – dove incontra e stringe amicizia con Henri Cartier-Bresson – Dora Maar viene convinta a studiare fotografia all’École de Photographie de la Ville de Paris dal critico Marcel Zahar, anche se sarà soprattutto Emmanuel Sougez a fornirle preziosi consigli tecnici.
Risalgono al 1928 i primi lavori realizzati su commissione e nel 1930 la Maar inizia a lavorare come assistente di Harry Ossip Meerson, nel cui studio conosce Brassaï. Quindi il connubio con Pierre Kéfer, il giovane che aveva creato le scene per il film La caduta della casa degli Usher di Jean Epstein. Le loro opere vengono firmate con il timbro Kéfer-Maar ma gli scatti di strada, che pure portano le due firme congiunte, sono quasi totalmente di Dora. Sono queste forse le sue foto meno note – di cui la mostra al Fortuny propone una straordinaria selezione – eppure di grande interesse per l’attenzione alle frange marginali della società (scene di miseria e vagabondi, ciechi e storpi), per il mondo dell’infanzia, per la vita quotidiana che si svolge nelle strade ove prevalgono il popolare (mercatini, fiere) e l’eccentrico (il negozio di tatuaggi, la vetrina del mago, il canguro di paglia…).
“Lo sguardo di Dora – scrive la Combalìa – non ha il distacco documentario di Atget, né la crudezza di Brassaï, né l’obiettività di Cartier-Bresson. Lei non è direttamente interessata ai “bassifondi”, ai bordelli o ai cabaret”. A volte il suo sguardo si fa pietoso come nel Mendicante accasciato su una sedia pieghevole (1932 c.), altre volte è pieno di ironia come in Niente elemosina. Voglio un lavoro (1934) dove un impeccabile signore con tanto di bombetta vende fiammiferi mostrando un cartello con scritto: “ho perso tutto negli affari”. L’attenzione di Dora per i meno abbienti in una Parigi colpita dalla grande crisi del ‘29 “si colora anche di politica”. All’epoca la Maar aveva una relazione con un giovane e intelligente cineasta Louis Chavance e frequentava il mondo di Montparnasse con Paul Éluard, i fratelli Jacques e Pierre Prévert, Luis Buñuel, ma cosciente delle disuguaglianze sociali, decide anche di impegnarsi nella lotta in favore delle classi umili ed entra a far parte nel 1933 del gruppo Masses, dove conosce il filosofo e rivoluzionario Georges Bataille. La loro relazione dura pochi mesi, la loro amicizia molto più a lungo.
Tra le foto “di strada” un posto particolare hanno quelle scattate nel suo viaggio solitario nel ‘33 a Barcellona e in Costa Brava: Dora fotografò il mercato della Boquería con le venditrici, le macellaie, i mendicanti, i bambini e i colori. Fece degli scatti al Parco Güell di Gaudí, scegliendo gli stessi motivi ripresi quell’anno da Man Ray; fissò immagini del villaggio di Tossa con i suoi pescatori.
A Parigi Dora si recò spesso nella Zone, una serie di terreni incolti nelle vicinanze della città, dove gente poverissima (gli zonards) viveva nelle baracche. Fu qui che scattò immagini come Due bambini davanti a una roulotte (1931-’36) e Donna e bambino alla finestra (1935), efficaci ritratti di povertà così come Ragazzino con le scarpe spaiate (1933). Il bambino tiene gli occhi chiusi e questo – come sottolinea la curatrice – è uno dei temi che ossessionerà Dora Maar: lo sguardo, la cecità e gli occhi chiusi in trance o nel sonno.
In un sorprendente fotocollage finora inedito, Ciechi a Versailles, vediamo riuniti nella residenza dei Re di Francia – visione surrealista – tutti i non vedenti fino ad allora fotografati da Dora Maar: l’orchestra di ciechi di Barcellona, un uomo-sandwich con gli occhi chiusi, un cieco che canta e un bimbo che dorme.
L’impegno politico di Dora coincide con il suo ingresso al gruppo surrealista.
Dora Maar era inevitabilmente attratta dalle idee surrealiste: oltre a schierarsi dalla parte dei diseredati, aveva un’istintiva e forte inclinazione per il misterioso, il magico e il soprannaturale e temi fondamentali del credo estetico e ideologico dei surrealisti erano proprio il pensiero automatico, la follia, l’arte infantile, il mondo primitivo, l’erotismo. “Rivelare l’inquietante stranezza del quotidiano” diventò uno dei talenti di Dora Maar: nei monumenti visti da dietro (Scultura di pietra), nelle sculture che danno l’impressione di volersi staccare da un ponte (Pont Mirabeau), nella iperrealtà di un manichino dall’ammaliante sguardo (Busto di donna) o nella serie di fotografie di architetture monumentali che fanno da sfondo a scene scioccanti o enigmatiche realizzate tra il 1935 e il 1936.
Famosissima la foto Il simulatore (1936) che altro non è se non una veduta capovolta delle arcate dell’Orangerie del castello di Versailles. Il soffitto diventa pavimento, arcuato come la curva descritta dal corpo del ragazzino che sembra in precario equilibrio.
Spesso Dora dimostra grande senso dell’umorismo, come nel collage in mostra, anch’esso inedito, Villa in vendita, oppure in Veduta del ponte Alessandro III (1931- 1936 c.) dove la particolare inquadratura trasforma in un fallo la fiaccola stretta nella mano di una figura femminile scolpita.
Si susseguono in questi anni le esposizioni: alla “Mostra Surrealista” di Tenerife nel 1935 e, nel 1936, a “Fantastic Art, Dada e Surrealismo” di New York, alla mostra “Objets Surréalistes” alla Galleria Charles Ratton e alla “Mostra Internazionale del Surrealismo” di Londra.
Dora Maar alternava la fotografia sperimentale a quella commerciale. Eseguì ritratti, foto di nudi, pubblicità. Come alcuni fotografi suoi contemporanei adottò un linguaggio sperimentale per i suoi incarichi commerciali: la solarizzazione, l’uso del negativo, la sovrimpressione e il fotomontaggio furono alcuni dei procedimenti che utilizzò, per esempio, nelle due versioni di Bagnante, dove alle modelle che pubblicizzano un costume da bagno sono sovrimpressi i riflessi dell’acqua della piscina. Pubblicò su giornali di moda e anche su alcune piccole riviste erotiche che uscivano negli anni Trenta come “Beautés Magazine” o “Amours de Paris”: pensiamo alla foto Assia, nudo e ombra, ecc.
Tra i tanti ritratti, sono bellissimi quelli di Nusch Éluard, come quello come le mani accostate alle guance contro uno sfondo nero, intenso e drammatico, che tornerà anche nel Ritratto in chiaroscuro di una donna bionda, il viso appoggiato sulla mano e nel Ritratto in chiaroscuro di una donna bionda con le braccia incrociate.
Di Jean-Louis Barrault, nel cui studio Picasso avrebbe poi dipinto Guernica, Dora Maar scattò due immagini sensazionali, una delle quali in mostra, mentre nei ritratti di Marie-Laure de Noailles e del poeta René Crevel – lavori inediti presentati per la prima volta in questa occasione – troviamo vecchi negativi degli anni Trenta successivamente rielaborati, come lei amava fare, con ottimi esiti.
Una novità è anche il ritratto, da piccola, di Aube Breton figlia di André Breton e Jacqueline Lamba ai quali Dora era molto legata.
Il 7 gennaio 1936 Paul Éluard presentò Dora a Picasso e tra i due ebbe inizio una relazione, passionale e tormenta.
Lavorarano insieme a un gruppo di opere che combinavano le tecniche del fotogramma e del cliché verr e Dora fotografò le diverse fasi di realizzazione di Guernica, lasciandoci uno straordinario documento sulla genesi e l’evoluzione di questo capolavoro.
Nel 1937 c’è il riavvicinamento di Dora alla pittura che non abbandonerà più fino alla fine della sua vita, mentre Picasso la immortala in quegli anni in innumerevoli tele: all’inizio bella e malinconica con un corpo bianchissimo e sensuale, ma a partire dal ‘38 chiusa in un intreccio di linee sottili, “come una rete o una griglia – nota la Combalìa – metafora del suo carattere tormentato e incostante”.
In mostra si potrà rivedere Dora in un olio di Pablo del ’39 ma anche in un piccolo, straordinario bronzo realizzato dal grande artista nel ’41.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale la coppia si stabilì a Royan ma negli anni seguenti i fatti precipitarono: la fuga del padre in Sudamerica per timore di essere scambiato per ebreo, l’arresto nel ‘42 della madre rimasta in Francia e la sua morte per un’emorragia cerebrale, l’angoscia provocata dall’invasione tedesca, i tradimenti di Picasso e la sua relazione con la giovane pittrice Françoise Gilot.
Troppo per Dora.
Nel 1945 dopo una serie di bizzarri comportamenti, la sua instabilità sfociò in una grave depressione che superò solo negli anni – vivendo ritirata da tutti – grazie alla psicanalisi di Lacan e al ritorno alla religione.
Dora Maar si spense a Parigi nel 1997.
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