Ritratto allegorico di Dante Alighieri: il dipinto di Bronzino in mostra nella Galleria degli Uffizi


Dal 7 luglio, è stato esposto nella Sala 65 della Galleria degli Uffizi, al primo piano del museo, il Ritratto allegorico di Dante Alighieri, dipinto nel 1532-1533 dal Bronzino.

Dell’opera (olio su tela, 130 x 136 centimetri), esibita in Galleria a seguito di un comodato, sono note l’ubicazione originaria e la figura del committente; rappresenta inoltre una testimonianza lirica del culto rinascimentale per gli uomini illustri, nella sua specifica declinazione dedicata ai letterati fondatori della lingua italiana.

“M’è parso importante – afferma Antonio Natali, Direttore della Galleria – che in questo 2015, votato a celebrare i 750 anni dalla nascita dell’Alighieri, anche gli Uffizi fossero nel novero dei luoghi che rendono omaggio alla memoria del poeta. La tela, da oggi in Galleria e fino a pochissimi giorni fa esibita nella Sala dei Gigli di Palazzo Vecchio, fu presente alla mostra del Bronzino di Palazzo Strozzi nel 2010-2011. In quella circostanza fu collocata accanto alla tavola, d’identica impaginazione e affine espressione, conservata alla National Gallery di Washington. Confronto ravvicinato da cui uscì rinvigorito il convincimento (peraltro già diffuso) che la redazione fiorentina fosse da reputare autografa e che l’opera americana ne fosse invece una replica, ancorché quasi coeva”.

 

Un po’ di storia del ritratto allegorico di Dante Alighieri

Le vicende storiche di questa lunetta sono legate a un episodio riferito da Giorgio Vasari nella Vita del Bronzino. Al suo ritorno da Pesaro il pittore ricevette da Bartolomeo Bettini la commissione dei ritratti dei tre padri della letteratura italiana, Dante, Petrarca e Boccaccio, da collocare nelle lunette di una stanza della sua abitazione. Il significato complessivo del progetto è descritto nella Vita del Pontormo, che per quella stessa stanza eseguì una tavola con Venere e Amore, su cartone di Michelangelo. Dei ritratti dei tre grandi l’unico ad oggi conosciuto è quello di Dante: esistono infatti un disegno preparatorio a Monaco, una replica di bottega su tavola conservata nella Collezione Kress della National Gallery of Art di Washington, la presente redazione su tela in collezione privata fiorentina, svariate copie grafiche e la xilografia del solo busto, sul frontespizio della Divina Commedia pubblicata a cura di Francesco Sansovino nel 1564.

Vicende attributive

Nel 1956 la tavola statunitense, radicalmente restaurata, fu acquistata come opera della bottega di Vasari; nel 1964 Luciano Berti ne ascrisse la paternità al Bronzino, mentre nel 1991 Alessandro Cecchi preferì considerarla una replica autografa. L’attribuzione fu poi ridimensionata da Jonathan Nelson, che la ritenne un prodotto di buona fattura della bottega del pittore, dipinto forse su commissione di un membro dell’Accademia Fiorentina probabilmente dopo il 1541, quando la disputa sul primato del volgare toscano e l’interesse per Dante infervorarono non solo gli studi letterari, ma anche il dibattito politico.

Su questo fronte, sia Bettini, sia il suo amico Michelangelo Buonarroti erano fortemente impegnati nel difendere la Repubblica contro la tirannia del duca Alessandro de’ Medici e il Canto XXV del Paradiso, leggibile sul libro sorretto da Dante desideroso di rientrare dall’esilio, si adatta particolarmente alle vicende politiche della famiglia Bettini.

La tela, di collezione privata e pubblicata nel 2002 come Bronzino da Philippe Costamagna,  è  attualmente ritenuta dalla critica autografa di Agnolo Tori, detto il Bronzino.  Il supporto in tela, per quanto infrequente a Firenze nella prima metà del Cinquecento, non è pregiudizievole per la sua autenticità: ne esistono altri illustri esempi, quali la nota Cena in Emmaus del Pontormo per la Certosa del Galluzzo o il Nano Morgante dello stesso Bronzino, entrambe agli Uffizi.

Non sono note le vicende che hanno portato il dipinto fuori da casa Bettini e la sua storia successiva. Il ritratto, quantunque la tela sia supporto delicato, si dimostra di eccellente fattura, visibile soprattutto negli incarnati, che sono di una consistenza affine a quella di dipinti coevi come il Ritratto del suonatore di liuto degli Uffizi e il Pigmalione e Galatea dello stesso museo.

Rispetto alla lunetta quasi gemella della National Gallery di Washington (cui alla mostra del Bronzino del 2010-2011 a Palazzo Strozzi la tela fiorentina fu affiancata) l’andamento dei panni, simili a quello della Venere e Amore del Pontormo, appare  molto meno schematico; la pittura presenta un segno più sicuro e l’espressione del volto del poeta appare più ispirata. Il quadro dimostra anche una particolare sensibilità per la luce, che può esser derivata dalla conoscenza della pittura di Dosso, con cui il Bronzino entrò in contatto all’Imperiale di Pesaro nel 1531.

 

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