Per anni ci siamo abituati a vedere Fabio Fulco in veste di attore tra fiction Rai e drammi romantici, serie tv come “Orgoglio” ad esempio. Fa quindi un certo effetto ritrovarlo in un film al cinema non solo nel cast, ma soprattutto tra le voci del cast tecnico, regia addirittura. Questo perché l’attore napoletano ha deciso di passare anche dietro la macchina da presa per il film “Il crimine non va in pensione”, in concorso recentemente all’ultimo Social World Film Festival di Vico Equense, dove ha divertito con brio e sagacia la giuria giovani della kermesse.
La pellicola si è guadagnata un paio di candidature ai premi finali, non riuscendo a vincere nulla però, se non un premio simbolico al regista Fulco che è quasi un incoraggiamento per futuri lavori. Il regista infatti, presente all’incontro con i ragazzi di giuria e sul palco della serata finale, non ha mai mancato di sottolineare l’assoluta umiltà con cui si è avvicinato a questo film che inizialmente non doveva dirigere:
«Il produttore ha insistito nell’affidarmi questo ruolo, e già per me essere a un festival e aver diretto dei mostri sacri è un risultato straordinario», ha spiegato ai giurati. Nel cast figurano nomi di caratura notevole, come Stefania Sandrelli, Ivano Marescotti, Gianfranco D’Angelo, Salvatore Misticone (lo Scapece dei vari “Benvenuti al Nord” e al Sud, qui in un ruolo “gaio” alla Liberace esilarante) e un ritrovato Maurizio Mattioli. Spazio anche per un nome ormai internazionale se pensiamo al cameo di Franco Nero, funzionale alla citazione tarantiniana di “Django” e “Django Unchained”. L’opera prima di Fulco, una spassosa crime comedy ai tempi della crisi che morde anche i pensionati, si nutre di citazioni e riferimenti più disparati, cavalcando l’onda felice dei cinecomics all’italiana inaugurata da “E lo chiamavano Jeeg Robot” di Mainetti e proseguita col recente “I peggiori” di Vincenzo Alfieri. Ma essendo una storia di crimine all’italiana, seppure di terza età, non poteva mancare nello stile qualche strizzatina d’occhio ai vari “Smetto quando voglio”, così come a quel capolavoro che fu “I soliti ignoti” (i consigli e le direttive del generale Orso Maria Guerrini rimandano a quel grande ruolo che si ritagliò Totò a suo tempo nel film di Monicelli). Il racconto parte con ironiche presentazioni nei titoli di testa dei membri della futura banda, tra le vecchie banconote della lira in color correction, per poi mostrare subito l’anziana amica dei protagonisti all’ospizio in difficoltà economiche. Scossi dalla notizia, e sotto la spinta dell’infermiere Fulco, questi vecchietti irresistibili tenteranno di svaligiare il Bingo, un po’come i criminali di “Ladykillers” dei fratelli Coen (remake a sua volta de “La signora omicidi”).
Nonostante alcune slabbrature in sceneggiatura e piccole frenate al ritmo avvincente della storia (qualche asciugatura non avrebbe guastato), il film diverte per un’ora e mezza e si rivela una piacevole scoperta in quest’annata cinematografica italiana.
Renato Aiello
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