IL CASO “MINE” DEI DUE FABIO AL SOCIAL WORLD FILM FESTIVAL


La pellicola, candidata come miglior film esordiente e non solo agli ultimi David di Donatello e Nastri d’argento e passata fuori concorso al Social World Film Festival, è una sorpresa folgorante in quest’annata cinematografica, vuoi per l’esordio di qualità dei due registi ma soprattutto per il genere cinematografico cui si iscrive, e che appartiene per di più a cinematografie anglosassoni piuttosto che alla nostra.

Film di guerra di questo tipo non ne appaiono nel nostro cinema, o per lo meno storie scritte, girate e dirette così. L’opera fa pensare alle sfide estreme cui erano sottoposti un Di Caprio in “Revenant” o un Ryan Reynolds in “Buried”, tra natura selvaggia e thrilling psicologico. In “Mine” il deserto è l’equivalente dei ghiacci e delle nevi del film di Inarritu con Leo Di Caprio, ma forse anche un po’ dell’astronave in “Solaris” di Tarkovsky, in cui visioni, allucinazioni e proiezioni inconsce si materializzano nel corso del calvario del protagonista. Mike, il giovane marine messo qui alla prova (un quasi irriconoscibile ma efficace Armie Hammer, attore già visto in “J.Edgar” di Eastwood e in “The social network” di Fincher), si ritrova in NordAfrica per una missione militare dall’esito negativo, cui farà seguito una fuga col compagno e amico di sempre in una tempesta di sabbia. La tensione cresce subito e il pericolo mortale si manifesta con l’esplosione di una mina che travolge e uccide l’amico di Mike, lasciando il soldato solo e in preda al caldo asfissiante, alla mancanza di cibo e acqua e persino alle iene. In splendidi e ben fatti montaggi alternati, vediamo il giovanotto ripensare al suo passato, dal padre violento della sua infanzia alla sua compagna in America, mentre avversità e disperazione crescente sfiancano il suo corpo, sempre più debole col passare del tempo. Il film più recente sulla tematica delle mine anti uomo che viene in mente è il croato “No Man’s Land” (Terra di Nessuno), film sulla tragedia jugoslava che vinse l’oscar come miglior film straniero a suo tempo, ma al di là dell’argomento comune “Mine” è un’opera completamente diversa: qui forse non importano motivazioni politiche, posizioni ideologiche come se ne potevano rintracciare nei due film della Bigelow sull’Iraq e l’Afghanistan, “Zero Dark Thirty” e “The Hurt Locker”. Conta prima di tutto lo scavo psicologico, l’introspezione del personaggio e il suo inconscio che lo tormenta e che prende corpo tra dune e miraggi berberi. “Il nostro lungometraggio è stato sicuramente un film rischioso”, ha precisato Fabio Guaglione nel corso della masterclass cui hanno preso parte all’ultimo Giffoni Film Festival. “Come facilmente comprensibile si tratta solo apparentemente di un war movie, visto che è oggettivamente distante dai tanti luoghi comuni sulla barbarie dei conflitti armati raccontati dal cinema. Rispetto alle fascinazione della produzione d’oltreoceano e alla lunghissima tradizione della settima arte italiana – ha continuato – questa opera ha cercato di sintetizzare in un’alchimia inusuale una serie di variegate influenze. All’interno della traccia narrativa potreste trovare qualunque possibile collegamento e nessuno sarebbe totalmente forzato. Ci piaceva l’idea che ci fosse una sottotraccia carica di simbolismi, in cui si riuscisse a superare le rigide frontiere dei vari generi cinematografici”. Il film che li ha resi celebri a livello internazionale è il risultato di un percorso di formazione lungo e articolato: “Il nostro sodalizio nasce tra i banchi di scuola ed è stato costellato di tante piccole essenziali tappe di crescita e consolidazione”, ha aggiunto Fabio Resinaro, anche lui ospite dell’incontro di Giffoni Valle Piana. “Dal primo progetto Ti chiamo io, un cortometraggio realizzato con una semplice miniDV, siamo approdati al genere fantascientifico puro con E:D:E:N. A partire da questo premiatissimo lungometraggio ci siamo dedicati a video clip, spot pubblicitari e mini format televisivi. Il cinema, però, è sempre stato il nostro vero amore e la realizzazione di Mine è stata un’esigenza”. Un film non facile e sicuramente impegnativo, che si avvale di ottimi effetti speciali funzionali al racconto – e come potrebbe altrimenti? – e che lancia i due “Fabio” della regia a quattro mani verso aspettative altissime per i futuri lavori.

Renato Aiello

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