Una meraviglia da scoprire. Passeggiando nel centro elegante di Bergamo può sfuggire qualcosa di unico, un piccolo tesoro architettonico nascosto alla vista: occorre inoltrarsi nei porticati della città bassa, fiancheggiare le mura di importanti edifici della City per arrivare a cogliere con la coda dell’occhio, nella Galleria Crispi, un fantastico giardino precluso al pubblico, il Chiostro di Santa Marta: al suo interno, ecco apparire al centro di un vialetto erboso tre sculture, emblema dell’arte contemporanea più accreditata, il “Cardinale Seduto”, di Giacomo Manzù (“artista “di casa”, in quanto nativo proprio di Bergamo), le suore di Elia Ajolfi ed un monolite di granito nero, levigato a specchio, dell’artista indiano Kapoor che moltiplica a rovescio i pilastri del colonnato del chiostro, creando un curioso effetto di realtà mista a sogno. Ma quello che più colpisce il visitatore che vi si addentra è l’atmosfera rarefatta di assoluta pace e silenzio, dove il rumore del traffico e il clamore della vita che scorre al di là delle mura sono ridotti a un brusìo lontano: ci si immerge grati in questa oasi, ultima traccia dell’antico Monastero domenicano femminile del xv secolo, chiuso nel 1798 per incamerarne i beni, sorte toccata a molti altri conventi nel periodo napoleonico. Pagine di storia raccontano, infatti, la spoliazione del clero nella seconda metà del ‘700, a causa del fermento illuministico e del razionalismo giansenista che vedevano nella Chiesa cattolica da una parte un coacervo di superstizioni mistiche e dall’altra un‘inaccettabile ricchezza materiale che prevaricava di gran lunga i valori spirituali. L’abolizione dei privilegi del Vaticano divenne un grido di battaglia anche per la crescente influenza della classe borghese, determinata a far pagare al clero le imposte come ogni altra categoria sociale, trovandosi in questo perfettamente allineata con i monarchi che – stritolati dalle ingenti spese di finanziamento degli eserciti – vedevano nell’assoggettamento alle tasse della ricca classe ecclesiastica la soluzione a molti problemi, non ultimi quelli di liberarsi dall’ingerenza della Chiesa nella loro politica interna.
Cosi’ il piccolo chiostro di Santa Marta rimase privo della Casa madre delle religiose e, nel tempo, anche della chiesa di Santa Marta del 1357, trasformate via via in caserma, ospedale militare, magazzini, forno del pane per le soldatesche, mercato di derrate alimentari, uffici comunali e infine, agli inizi del ‘900, sottoposte a radicale ristrutturazione per risorgere come edificio di pregevole architettura con tocchi Liberty al suo interno, sede per molto tempo della Banca Popolare di Bergamo: oggi tutto il complesso è proprietà di UBI Banca e il cavedio – come tutte le oasi, reali e mentali – non è facilmente raggiungibile, giacchè ci vuole un percorso obbligato per arrivarci. Appartenendo, infatti, all’istituto di credito che affaccia direttamente su piazza Vittorio Veneto se ne può fruire quando i cancelli vengono aperti in occasione di eventi privati e di concerti programmati a favore della cittadinanza, ogni prima domenica del mese: ma chi può avere il privilegio di entrarvi e rimanere in solitudine ad ammirare le installazioni artistiche o a passeggiare vicino al prato per inspirare il profumo dei fiori entra in uno stato indefinito, di evanescenza trasognata. Sì, il visitatore assorto in contemplazione, può distaccarsi dalla sua dimensione concreta e immaginare il fervore di preghiere e spiritualità che ha pervaso questo luogo nei secoli, lasciandone un’aura impalpabile che solo la meditazione può percepire: un raccoglimento interiore che restituisce serenità all’anima, prima che i passi d’addio al chiostro portino la coscienza a ritornare presente e a rituffarsi nel convulso mondo che vibra all’esterno.
LAURA CAICO
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