Il cuore dietro la divisa. Il generale di corpo d’armata dei Carabinieri Arturo Tornar, nato a Roma nel 1937, generale di corpo d’armata, già Comandante Interregionale “Ogaden”, figura d’altri tempi per la raffinata educazione e la sensibilità di gentiluomo profondamente attento ai valori della vita è scomparso dopo una lunga malattia, lasciando un vuoto enorme nella schiera degli amici, dei colleghi e degli Ex allievi della Nunziatella, in cui ha mosso i primi passi della sua brillante carriera militare. Nella mattinata di mercoledì 7 settembre è stata celebrata – nella chiesa dell’Annunziata, contigua alla Scuola militare del Rosso Maniero di cui era stato promettente Allievo – la messa funebre alla presenza di autorità religiose, civili e militari: non mancherà la presenza di un fittissimo gruppo di compagni di corso e sostenitori della Nunziatella che lo conoscevano e lo stimavano per il grande senso etico e l’indomito coraggio di dire la verità anche nelle occasioni più difficili, quando altri avrebbero scelto un molto più comodo silenzio.
Nel suo curriculum, due lauree, l’abilitazione alla professione in “Medicina veterinaria” e “Scienze biologiche”, il titolo di “Alta Formazione” per i Funzionari ed Ufficiali delle Forze di Polizia e vari riconoscimenti: tra i suoi fiori all’occhiello, la realizzazione del RIS di Parma e il lungo periodo di servizio di S.M. a livello centrale, nonché importanti successi militari registrati nel corso dei vari comandi ricoperti.
Ripercorrendo a ritroso le tappe principali del suo vissuto, alcuni illuminanti episodi illustrano il suo temperamento e la grande umanità con cui ha affrontato momenti particolarmente delicati, dirigendo operazioni-chiave contro le B.R. arrestando terroristi e reperendo importanti documentazioni nei covi scoperti: in Sardegna, in qualità di comandante della Legione Carabinieri di Cagliari, fu investigatore di punta di una ventina di attentati, di due conflitti a fuoco e di 6 sequestri tra cui quello di Farouk Kassam, rapito in Costa Smeralda.
In questo difficile frangente Tornar, rompendo l’etichetta militare, pronunciò un memorabile discorso con parole di fuoco sui “Rituali avvilenti che portano solo morte e sconfitte” dichiarando che il rapimento del bimbo aveva “un epilogo che si svolge in un teatro di seggiole vuote, immerso nel fumo dell’omertà, della paura e soprattutto dell’ ipocrisia. Ipocrisia dei tristi silenzi di chi poteva parlare e non ha parlato, di chi potrebbe parlare e non parla perché pellegrino irrisolto dalla doppia natura di imbelle e di complice. Non devono dimenticare, quegli individui, che anche il loro comportamento giungerà al giudizio finale, e allora sarà troppo tardi per chiedere perdono”. Quest’altissima concezione etica della giustizia lo sostenne anche nel triennio svolto in Sicilia dove guidò alcune importanti operazioni conclusesi con la cattura di vari latitanti per arrivare, infine, in Campania al Comando Interregionale “Ogaden” che lui stesso definì “il periodo più gratificante della mia vita militare e conclusione con il grado vertice a Napoli laddove avevo indossato la prima uniforme”.
In alcuni suoi scritti, tra cui il saggio “Felicità sbiadita”e “Il mio mondo sottile spiegato a me stesso” quest’uomo speciale ha raccontato la sua vita affermando “In verità ho cercato di divertirmi amando il mio lavoro, ho studiato ciò che mi piaceva seppur impegnato in aree belle e sensibili” e descrive anche il suo percorso di maturazione spirituale come quando dichiara “Ho ragionato sulla realtà di una Croce piantata nella storia di questo mondo che non può essere nato dal nulla ma creato da un Essere superiore. Per me ha significato che l’umanità ha avuto e ha il dovere di leggere dentro quel simbolo di sofferenza.”
In quelle pagine, Tornar, provato da una lunga serie di interventi devastanti, ha descritto con dignità anche la sua vicenda medica e il distacco consapevole che manteneva dentro di sé, dopo aver vissuto un’episodio di premorte “una strana esperienza in sala operatoria dove transito in uno stato in cui non si comprende più nulla, non si è più niente; Ero un corpo che guardava uno spettacolo che non lo coinvolgeva: sentivo di non appartenere al vecchio mondo ma percepivo di non essere ancora nel nuovo, come in un tunnel con luce da una parte e dall’altra.”
Tra le riflessioni più intense e significative, quella in cui dichiara “Guardo agli ultimi anni della mia vita e cerco di comprenderne il percorso emozionale, la spinta spirituale che ha preso completo possesso della mia mente ed è stata benefica nel farmi riflettere sull’importanza dei valori cristiani che hanno dissolto paure e dolori amplificando i sentimenti nobili.
Così è’iniziata nuovamente la mia meravigliosa avventura alla riscoperta e al consolidamento della fede nel Dio Cristiano con una regola di vita: conoscere il male ma non farne parte, vivere nel bene proteggendolo, cercare Dio anche nei momenti in cui sembra averti dimenticato. In questa convinzione distendo la mia vita residua, anche in mezzo al frastuono, come in un calmo rifugio inviolabile.” Le sue ultime dichiarazioni d’amore sono state per la moglie “Franca, un Angelo in terra, unico Bene prezioso che mi appartiene in questo mondo”, sua amata compagna che l’ha assistito amorevolmente sino all’ultimo.
Laura Caico
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