L’Immortale di Marco D’Amore in sala, torna al cinema la Gomorra della tv


“L’immortale” di Marco D’Amore arriva in sala a pochi mesi di distanza dall’ultima stagione di “Gomorra la serie” e subito riaccende l’hype per uno dei prodotti seriali più amati in Italia e all’estero, vera punta di diamante di Sky (che con Sky Timvision compare infatti tra le collaborazioni del produttore Cattleya). La scommessa di D’Amore non era facile e sembra essergli riuscita alla fine, nonostante qualche perplessità inevitabile dopo la visione dell’ideale ponte tra la terza, quarta e quinta stagione che si sta girando proprio adesso.

Questo film si configura proprio così, colma un ellissi lunghissima e regala non poche emozioni e alcuni flashback importantissimi sul passato di Ciro Di Marzio, lo spietato boss asceso ai vertici di Scampia e Secondigliano prima di cadere, rialzarsi e cadere definitivamente in mare, colpito “a pochi centimetri” dal cuore dall’amico fraterno Genny Savastano. Il sospetto che nell’episodio finale della terza stagione fosse sopravvissuto in qualche modo c’era, ma i fan della serie sembravano aver messo il cuore in pace alla notizia secondo cui Marco fosse ormai passato dietro la macchina da presa, solo come regista di alcuni episodi della quarta stagione andata in onda tra marzo e aprile 2019 su Sky Atlantic.

Un’ottima palestra di regia per l’attore campano, un talento sempre in bilico tra cinema e tv, tra fiction Mediaset e quel bel film con Toni Servillo e Francesco Di Leva, “Una Vita Tranquilla”, fino alla cavalcata di “Gomorra la serie” iniziata nel 2014, che l’ha consacrato al grande pubblico. Che fosse un bravo attore era risaputo e lo dimostra ancora una volta nell’Immortale”, meno scontata era invece la sua bravura come regista e sceneggiatore (in realtà sono in cinque ad aver scritto il film, e si vede).

L’incipit è al fulmicotone e dopo alcune voci fuori campo forse un po’ troppo celebrative (la mitizzazione del personaggio ormai c’è, e potrebbe essere una delle debolezze e degli aspetti più criticabili del film) ci rivela una delle curiosità più drammatiche della serie: com’era sopravvissuto Ciro nei suoi primi giorni di vita al terremoto dell’80, il primo vero imprinting della sua immortalità. La scena è fortissima e resta impressa nello spettatore, come è giusto che sia, subito seguita dalla resurrezione dell’uomo, ripescato in mare e portato d’urgenza in sala operatoria. La visita di Don Aniello in ospedale (il grande Nello Mascia, visto di recente anche in “1994)” non è che il preludio alla seconda, ennesima fuga all’estero e infatti il film appare sempre più come una gigantesca, dilatata seconda puntata di ogni stagione della serie, quella ambientata di volta in volta in un paese straniero come l’Honduras, la Germania, la Bulgaria (dove Ciro si era già “dato da fare”) e la Londra degli affari di Genny della quarta stagione.

Gomorra la serie meritava da sempre un passaggio in sala, per la qualità cinematografica del prodotto e lo sforzo degno di una grande produzione filmica, e l’Immortale” ne diventa l’approdo naturale, finalmente raggiunto. Ben fotografato e scritto, l’Immortale colloca gli avvenimenti in Lettonia, nelle guerre di potere tra le organizzazioni criminali locali e l’influente mafia russa, al cui servizio si mette Ciro, insieme a una vecchia conoscenza con cui ha qualche conto in sospeso e alcuni emigrati italiani in cerca di fortuna sotto l’ombrello dei nuovi clan.

Sembra quasi una riedizione della puntata girata a Sofja durante il primo esilio di Ciro, quello in cui conosceva i camorristi “talebani” hipster di Sangue Blu e salvava una ragazzina dall’infame destino di prostituzione, schiavitù e morte. E anche in questo film non rinuncia alla vocazione di “distruttore di catene” che lo portò, a suo tempo, a determinare la scissione del clan Savastano. Proprio per questa ripetizione, il basso rischio, l’azzardo tentato davvero poco e l’evidente, a tratti sfacciato, “inchino” nei confronti della prossima quinta stagione (il finale in particolare), l’Immortale lascia un po’ perplessi e col desiderio non soddisfatto di un maggiore approfondimento (magari della carriera nel clan Savastano e del suo rapporto con Don Pietro, aspetti poco accennati e introdotti solo alla fine del film nel flashback tra le Vele).

Un bel film ma anche un’operazione di marketing non troppo nascosta nel periodo del Natale, territorio da sempre dei cinepanettoni: sarà per questo che strizza un po’ troppo l’occhio al pubblico?

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