È ben noto che nell’area napoletana si sviluppano aree vulcaniche distinte, quali Ischia, Campi Flegrei e Vesuvio. Le prime due sono campi vulcanici con la formazione di centri eruttivi monogenici (ad ogni eruzione si forma un cono vulcanico) e caratterizzati da eruzioni esplosive con formazione di caldere, mentre il Vesuvio è uno strato vulcano poligenico (prevale il centro eruttivo sommitale).
Poco nota è l’estensione del vulcanismo nella Città di Napoli dove non solo si rinvengono i prodotti delle principali eruzioni flegree e vesuviane, ma si rilevano anche apparati eruttivi, quali il Cratere di Santa Teresa a Bagnoli ed i centri eruttivi di Chiaia, Monte Echia, Collina di San Martino, sommersi dall’antropizzazione o parzialmente cancellati dall’estrazione di tufo e pozzolane.
La stessa grande eruzione flegrea che produsse oltre 250 km3 di materiale 39.000 anni fa, formando la Caldera dell’Ignimbrite Campana (nota anche come tufo grigio), interessa l’intera Città di Napoli fino alla sua periferia orientale. Lo stesso fenomeno bradisismico, che caratterizza il golfo di Pozzuoli, interessa anche la costa della collina di Posillipo come testimoniano i reperti archeologici sommersi: da Villa Rosebery (dimora del Presidente della Repubblica) alla Gaiola (scuola di Virgilio).
Napoli lì, 08/10/2012
Prof. Giuseppe Luongo
Emerito in Fisica del Vulcanismo dell’Università degli Studi “Federici II” di Napoli
Nessun Commento