Claudio De Martino: lookmaker, un professionista al servizio di chi crede nello stile


Napoli. Quella del lookmaker è tuttora una specializzazione poco conosciuta in Italia, ancora meno al Sud. Eppure, la ci dilemma di questa particolare figura che cura l’immagine nei suoi vari aspetti, è continuamente richiesta da un’utenza di qualità, soprattutto in campo internazionale. Nella nostra Nazione ci sono però tuttora pochissimi autentici esperti, ai quali affidarsi serenamente, con la certezza di ottenere dei risultati ottimali. Non solo. Dalle nostre parti non è neppure ben chiaro chi sia e quale sfera di azione sia di competenza del lookmaker. Anzi, lo stesso termine, per quanto ormai è di uso comune, viene usato spesso senza adeguata chiarezza. Di questa professione per moltissimi “nuova” parliamo con Claudio De Martino, lookmaker partenopeo di fama internazionale, oltre che super apprezzato hair stylist molto conosciuto in Europa ed in America del Nord. A lui, personaggio amato da tanti divi italiani ed esteri, affidiamo il compito di parlarci del suo impegno, al fine di fare la dovuta chiarezza a riguardo. Claudio De Martino è un pioniere infatti di questa attività che punta a 360 gradi sullo style, abbracciando le varie sfaccettature.
Ci conferma: “iniziamo col precisare che quandi parliamo di lookmaker ci riferiamo ad un consulente d’immagine che ci d take deve possedere una preparazione globale che ne fa uno specialista. Deve pure avere e spiccate capacità, tali da ier mettergli di elaborare ‘su misura’ con creatività, uno stile personalizzato, ‘cucito addosso’ perfettamente a quello specifico soggetto, uomo ì donna che sia”. Continua: “ il lookmaker attentamente studia e con pignoleria quasi maniacale cura nei dettagli l’aspetto di chi si rivolge a lui, ne valorizza i pregi attraverso capelli, trucco, abiti ed accessori, nel rispetto della sua personalità che non va mai forzata ma pista nella dovuta evidenza con buon gusto. Offre dunque una consulenza d’immagine globale, perché dietro un look d’autore c’è sempre un professionista”.
L’inizio della diffusione di questa attività è legata all’uscita negli anni ‘70, sul territorio degli Stati Uniti del libro “Dress for success” di John T. Molloy, che divenne velocemente un best seller, indirizzato ad aiutare donne ed uomini in carriera a costruirsi un’immagine al top, che li valorizzasse nel migliore dei modi, partendo dai dati base che: l’immagine ha una notevole valenza estetica, professionale e sociale; la comunicazione non è fatta soltanto di parole, ma soprattutto di immagine ed in particolare che il nostro interlocutore si riesce a fare un’idea di noi, già nei primi 7 secondi in cui ci vede inizialmente, osservando il nostro linguaggio del corpo, la postura ed il modo nel quale siamo vestiti, pettinati ecc. In questo ricopre la sua influenza anche il maquillage e non poco. Dunque, un’immagine inadeguata, rischia di comunicare all’esterno un messaggio sbagliato e addirittura controproducente, con l’effetto di ottenere un risultato diverso se non opposto a quello desiderato. Va precisato, però, tornando indietro nel tempo, che la tecnica che fissa le regole da seguire per costruire un’immagine efficace, è di molto antecedente: risale infatti alla fine Novecento, nella Hollywood capitale cinematografica, quando ci fu il passaggio dal cinema bianco e nero al quello a colori e ci si accorse che le varie tonalità, in video, avevano un impatto differente sul volto degli attori, soprattutto riguardo a ciò portavano addosso. Così si passò ad identificare attentamente le tonalità per gli abiti, distinguendole in “amiche”, cioè in grado di fare apparire il viso più luminoso donando pure un effetto antiage, ed in “nemiche” che hanno invece l’effetto indesiderati di appesantirlo, marcando stanchezza e segni d’espressione, e agendo pure negativamente sull’età apparente.
Dunque, condizionando la comunicazione visiva. Fu allora che venne realizzata una metodica per la misurare il colore, che si basa sul metodo di Munsell. Esso definisce brillantezza/opacità, toni chiaro/scuro e qualità del colore stesso: in tale modo, il lookmaker può valutare la tipologia cromatica del/della cliente e stabilire quale tra le palette cromatiche è indicata in quel caso specifico, tenendo presente il colore di capelli, il make-up, l’abbigliamento, gli accessori. Parimenti, la morfologia del viso va adeguatamente valorizzata, e lo stesso le forme del corpo; queste ultime richiedono gli abiti giusti, che esaltino i punti di forza e riescano a celare i difetti, con sapienti giochi di movimento e puntando i riflettori altrove, quindi sviando lo sguardo. “L’analisi cromatica consente al lookmaker di valutare la tipologia cromatica del/della cliente ed i dicare la palette più adatta per colore di capelli, abbigliamento, make up, accessori, attraverso l’uso di teli colorati che vengono accostati al viso per studiarne gli effetti” – afferma Claudio De Martino. “Vanno valutate al di là del colore, la morfologia del viso e le forme del corpo, considerando che per ciascuna silhouette vi sono modelli di abiti più i meno adatti. La professionalità del lookmaker emerge sinel delicato compito di riuscire a consigliare vestiti alla moda, tenendo presente colore, taglio e tessuto, che valorizzino nel migliore modo il fisico di chi deve indossarli, esaltando i punti di forza e distraendo l’occhio dai difetti. Soprattutto rispecchino la personalità e siano rispettosi dell’immagine che quella determinato soggetto intende proporre di sé nei suoi rapporti innanzitutto pubblici”.
Armando Giuseppe Mandile

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